IL CASO REGENI: UNA GESTIONE INANE E PERICOLOSA


In questi giorni l’Italia sta facendo la voce grossa con l’Egitto: ritiro dell’ambasciatore dal Cairo e minacce di embargo, per ora solo turistico. Il caso è noto a tutti, anche se, nel merito, ben poco o nulla sappiamo, al di là di un cumulo di ipotesi affacciate da decine di “esperti” da talk show: il giovane ricercatore Giulio Regeni è stato assassinato il 25 gennaio scorso al Cairo, dopo essere stato sottoposto a barbariche torture.

La famiglia, assieme a tutte le persone civili del mondo, vuole che sia fatta piena luce su quanto accaduto.

Tuttavia, il modo con cui viene gestita la spinosissima vicenda suscita qualche perplessità e qualche interrogativo:

  1. – È stata dispiegata la medesima energia e determinazione anche nel caso dell’omicidio a Mogadiscio nel 1994 di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, tanto per fare un esempio, caso per il quale è stato ingiustamente incarcerato, si badi bene, da un italianissimo tribunale e per 16 anni, un povero giovane somalo, a causa di una testimonianza artefatta (da chi? Dai servizi italiani “deviati?)? E quali analoghe, burbanzose iniziative sono state prese per chiarire, dopo appena trentasei anni, l’abbattimento dell’aereo Itavia sui cieli di Ustica con 81 persone a bordo? Non siamo certo noi, il paese par excellence dei misteri irrisolti, da piazza Fontana in poi, che può alzare imperiosamente la voce chiedendo di fare chiarezza a una nazione di circa 90 milioni di abitanti come l’Egitto, politicamente assai fragile, in preda di una profonda crisi economica, sempre a rischio Daesh o Fratelli Musulmani (è dell’altro ieri l’attentato nel Sinai con 18 morti tra i soldati egiziani).
  2. – Al Sisi è un dittatore sanguinario? E chi l’ha messo al governo? Non ha forse contribuito anche l’Italia, che con Al Sisi fa e ha fatto finora ottimi affari? Non è stato forse ritenuto il minore dei mali, dall’Occidente e non solo? Siamo alle solite: quando ci fa comodo, voltiamo la testa dall’altra parte; poi, quando serve, riscopriamo l’etica e i valori.
  3. – Cosa significa oggi ritirare l’ambasciatore dal Cairo se non far vedere che, con Renzi al comando, l’Italia ha recuperato … gli attributi? La pochezza del ministro Gentiloni, signore sicuramente beneducato, passato da essere il portavoce del sindaco di Roma, Francesco Rutelli, a ricoprire la carica di ministro degli esteri in un momento di estrema delicatezza, data l’instabilità generale dell’area mediterranea, è sotto gli occhi di tutti: chi è in grado di rintracciare la fisionomia della politica estera italiana alzi la mano: in Libia abbiamo prima promesso e poi smentito un nostro intervento diretto, fino a dichiarare, alla Jonesco, che noi saremo sicuramente presenti in Libia senza però andarci.
  4. Si sono calcolate le conseguenze dell’azione intrapresa, che ha tutte le caratteristiche di un gesto propagandistico ad uso interno? Non sarebbe stato più prudente mantenere un profilo basso, di autentica e silenziosa collaborazione con Al Sisi e con chi lo sostiene? Perché si sarebbe davvero ingenui a pensare che in Egitto il presidente-generale abbia il pieno controllo di tutti i centri di potere e di tutti i servizi segreti, che, con tutta evidenza, operano autonomamente, non si sa bene al servizio di chi.
  5. E se l’Egitto mettesse in campo delle ritorsioni, cosa ne guadagneremmo? Il delitto Regeni rimarrebbe sicuramente insoluto; in più avremmo contribuito a mettere a repentaglio la stabilità di un paese con il quale abbiamo antichi e consolidati legami, economici e culturali (Ungaretti era nato ad Alessandria d’Egitto). Siamo sicuri che qualcun altro, che so, le lobbies di potere francesi e britanniche, non approfitterebbero della situazione per far guadagnare terreno ai loro apparati militar- industriali e petroliferi?
  6. Il corpo di Giulio Regeni, è bene ricordarlo, non è sparito nel nulla, come tante volte è accaduto (ad opera della mafia o di chi sa chi) nel nostro paese, oggi così rigoroso nel fare la morale agli altri e ieri così poco efficiente ed efficace nell’applicarla a se stesso, ma è stato fatto ritrovare al bordo di un’autostrada trafficatissima. Siamo sicuri che non si tratti di un orribile inciampo gettato tra i piedi di Al Sisi per destabilizzare l’Egitto? Quale servizio segreto governativo onnipotente, come si ritiene sia quello di Al Sisi, avrebbe lasciato sussistere la prova di un crimine così efferato?

Questi sono solo alcuni interrogativi che mi pongo e che forse si pongono in tanti. Di fronte alla necessità di fare realmente giustizia, non giovano l’agitar di bandiere, i colpi di teatro, le mosse ad effetto, ma una tessitura silenziosa della tela che, certo, non paga a livello mediatico, ma che è l’unica strada per arrivare, forse, a qualche risultato concreto. Mi auguro che, oltre al suono delle fanfare, ci sia anche chi questa tela stia tessendo.